RICCARDO COSTANTINI
contemporary
Riccardo Costantini Contemporary nasce come nuovo progetto nel gennaio 2013. La galleria promuove ed espone artisti nazionali e stranieri, emergenti ed affermati, operando esclusivamente nel mercato primario, con attenzione verso la scena italiana e internazionale e a tutti i mezzi espressivi dell’arte contemporanea: pittura, fotografia, video, scultura e arte installativa.
Presente Remoto
Giovanni Maria Sacco
06.12.2024 | 31.01.2025
Riccardo Costantini Contemporary
via Goito, 8 - 10125 - Torino
orari: da mar. a sab. 11:00 - 13:00 | 15:00 - 19:30
Lo sguardo della pura verità
di Alessia Locatelli
Giovanni Maria Sacco forse non si può definire un fotografo di vocazione, perché l’essere un pioniere dell’informatica agli inizi degli anni ’70 fa di lui ricercatore e docente universitario a tutti gli effetti. Ma la sua attenzione ai primi sistemi computerizzati non è distante dal viaggio che - già a quell’epoca - gli farà scoprire la possibilità della gestione del tempo che offre lo strumento fotografico. Fotografare significa catturare un attimo, trasformandolo in qualcosa di a-temporale attraverso la sua oggettivazione. L’oggetto della fotografia si storicizza, acquisendo un valore storiografico proprio nel momento in cui viene immortalato. Questa pratica non solo ferma il tempo, ma conferisce a quell’istante un'esistenza autonoma, svincolata dalla sua dimensione temporale. La fotografia diventa così un mezzo per fissare emozioni, storie e atmosfere, permettendo allo spettatore di rivivere momenti che, altrimenti, sfumerebbero nella memoria. Ogni immagine racconta una narrazione unica, racchiudendo il contesto sociale, culturale e personale in cui è stata scattata. In questo modo, la fotografia non è solo un atto di cattura visiva, ma anche un potente strumento di riflessione, capace di evocare ricordi e suscitare emozioni, anche dopo molto tempo. Con il passare degli anni, quelle immagini diventano testimonianze, capaci di raccontare epoche e cambiamenti, restituendo un valore storiografico all’oggetto immortalato. La fotografia, quindi, è un dialogo continuo tra il passato e il presente, un ponte che connette, attraverso la visione condivisa di momenti significativi.
Il “fattore tempo”, nelle infinite pieghe del suo dipanarsi, si lega dunque in maniera imprescindibile al concetto di Metafisica, di cui si imbeve la ricerca visiva di Giovanni Maria Sacco.
Negli anni 1971-72 viaggia in Asia. Fotografa con una Kodak Brownie Fiesta le atmosfere di città dal sapore esotico come Istanbul, Teheran, Kabul, Delhi, Kathmandu, Benares e Bombay … In tempi in cui l’India era una tavola di colori, ancora non codificata. Per poi spingersi verso Bangkok Chien-Mai Penang Singapore, aprendosi negli anni seguenti a suggestioni paesaggistiche, misurando già il suo sguardo sulle dimensioni ed i tempi sospesi dei luoghi isolati e silenti.
Nel 1975-76, crea un libro fotografico “Le plaisir de mourir sans peine” sui luoghi abbandonati delle alte Alpi piemontesi: villaggi, miniere, cave, piccole fabbriche. Il libro esiste in due esemplari stampati a mano e legati con bulloni, una citazione inconsapevole dei libri di Depero.
Nel 1978 - dopo la laurea in informatica nel 1976 - vola negli States con una borsa di studio Fulbright. Dal fortunato connubio dei grandi landscapes americani con l’indagine sui luoghi non più abitati dall’uomo, nasce il primo progetto fotografico dal titolo emblematico di “Sad America” (1981). Negli scatti prevalentemente in bianco e nero, si evince l’impronta primaria della straight photography che Giovanni Maria Sacco legge sotto la lente personale del “tempo come abbandono”, in cui si ritrova in pieno il nucleo primario della ricerca che successivamente definirà come: “oggetto metafisico”.
Un abbandono che passa certamente dall’isolamento decadente degli edifici, ma che non si esaurisce in quell’unica impronta antropologica. Si evince nel grande silenzio del deserto, nella sabbia che riconquista, in una natura che si riappropria dei suoi spazi.
Che siano costruzioni umane o paesaggi immensi, il fotografo ha una costante nei suoi scatti che affronta la percezione visiva di questioni fondamentali riguardanti la natura della realtà, l'essere e l'esistenza. Come la metafisica esplora temi quali la struttura dell'universo, il concetto di tempo e spazio, la relazione tra mente e corpo e la natura degli oggetti e delle loro proprietà, così Sacco si spinge oltre le evidenze empiriche per indagare ciò che trascende l’esperienza dei sensi. La fine degli oggetti diventa spunto di una riflessione collettiva sulla nostra essenza, su ciò che l’essere umano costruisce nella sua ricerca di immortalità, e su come tutto questo non annunci altro che l’inesorabile vittoria del tempo che lascia solo l’evidente caducità delle cose.
Il passaggio alle fotografie di archeologia industriale arriva come un’evoluzione naturale delle sue indagini fotografiche. Gli ambienti ampi e abbandonati dal lavoro che continuano a mantenere al loro interno frammenti di una vita operaia precedente, si ergono a simbolo di trascendenza. Sono la corrispondenza materiale e concreta del concetto di caducità. Gli ampi spazi silenti – a colori o in bianco e nero – dal 2012 cominceranno ad abitare gli scatti del fotografo torinese, che mai abbandonerà la passione per questi memento mori dell’era post-industriale e che, anni dopo, sfoceranno nel libro dal titolo "Silent Theaters" (edito da Kehrer Verlag nel 2023). L’analisi sul concetto filosofico/estetico del Memento Mori diviene anche il titolo del progetto successivo. Come nella più classica delle tradizioni pittoriche, Giovanni Maria Sacco contempla la natura morta come riflessione sull'inevitabilità della morte. Nell’arte classica, si esplicita attraverso la riproduzione di fiori, teschi, clessidre e oggetti che richiamano la transitorietà della vita invitando ad una riflessione profonda sulle priorità delle azioni umane e sull’ l'impatto del proprio agire. Negli scatti in mostra a Torino, il fotografo ripercorre il solco della tradizione immortalando i suoi oggetti del ricordo su fondi neutri, in studio, con luci che - in maniera caravaggesca - ampliano l’effetto drammatico del soggetto, svuotandolo della connotazione d’uso e restituendolo in tutta la sua capacità di evocazione simbolica.
Mostrare la decadenza come forma dell’estetica, la morte come atto finale della bellezza.
Nel 2015, Sacco produce “Applied Metaphysics - Ground Truth”. La ricerca di una “verità di base” - così la traduzione del termine dall’inglese - attraverso la metafisica applicata all’arte visiva. L’evocazione degli oggetti quotidiani, che emergono da un buio il cui il tempo e lo spazio si assottigliano e si perdono, si dirige verso una ricerca di verità infinita: ovvero, il modulo di base per scandagliare la sospensione metafisica. Scatti ad alta risoluzione, eseguiti con grande perizia e difficoltà tecnica, a loro agio tra il concetto di realismo magico ed iperrealismo, tra un soprannaturale presentato come parte integrante del quotidiano e una realtà così esasperata nei particolari, da risultare ingannevole. La mostra si conclude con l’esposizione di un estratto dalla serie di fotografie pubblicate da Contrasto nel 2024 con il titolo di “Metafisica Concreta”. Un progetto fotografico sulle architetture iniziato nel 2019 che ritrova nello studio di De Chirico la sua ispirazione primaria. La coerenza della ricerca si combina con le fotografie di architettura. Come scrive Benedetta Donato nel testo iniziale: “Gli edifici, i monumenti e le chiese caratterizzate da elementi, quali colonne, archi, pilastri e forme geometriche, divengono segni permanenti e sapientemente posizionati nello spazio, capaci di convivere armonicamente con forme antiche di un’idea classica del corpo umano, nonostante l’assenza di persone (…) Sono immagini che riescono a trasmettere un forte impatto emotivo e, dal silenzio in cui sono avvolte, svelano frammenti di vitalità (…) sottratte una volta per tutte a quel tempo cui appartengono per rivelarsi davanti a noi come nuovo presente.”
Anche per questo progetto, il silenzio, il tempo e la relazione uomo/spazio tornano come elementi dalla presenza costante di una tensione verso un modello che possa diventare la definizione – e come tale sfuggevole e teorica – tra realtà, caducità e tempo. Mentre il processo fotografico esegue il procedimento contrario: immortala, evidenza, rende eterno ciò che non potrà mai esserlo.
Indirizzo
Via Goito, 8 - Torino
10125
Contatti
+39 01119226893
Orari
Martedì - sabato
11:00 -13:00 | 15:00 - 19:30